_ MONUMENTO AI MORTI IN MARE DI LAMPEDURSA _

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lunedì 6 febbraio 2012

VENERDÌ 8 APRILE 2011

poesie di Bruno Panuccio

Si se caccia er clandestino
pensa un pò che gran casino
do' le trovi n'altre sante
disposte a fare da badante?
Ar nonnino cagasotto
chi je mette mani sotto
ar bambino viziatello
chi je canta " cicciobello "
E poi oggi chi cucina?
se andata e' a filippina !
Io le mani nun le metto
pe ste cose sò un inetto.
Questa gente rispettiamo
e fortuna ringraziamo
noi vivemo dentro a'n sogno
mentre l'altri ci han bisogno !!!

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Che sia nero e laureato
mezzo ai campi sta chinato
co' du' soldi va sfruttato
dar padrone-caporalato
e si prova ad arza' la testa
pronto, trova chi lo pesta.

Nun se spara a chi è più forte
lì ce poi trovà la morte,
mejo ar nero, le violenze
ce so meno conseguenze.
Ehi! fratello mio africano
io me scuso e so romano.

Mezzo monno hai traversato
p' ave' er destino migliorato
ma sei nero e scalognato
e qui vieni bastonato !!!

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A vedelli,... piagne er core
tanta gente ner dolore
je mancava er terremoto
A chi ha già er piatto voto
oggi er monno è solidale
...ma poi, questo a niente vale.
ne son morti proprio tanti
e chi pensa a li restanti ?
Stanno male da 'na vita
perciò fatela finita.....
chi sta bene se ne frega
e chi ha fame invece prega.
Soprattutto co' chi è nero
pe' quarcuno è ancor più vero
so' trattati a delinquenti
da la chiesa e dai potenti!

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Nun è un fatto de corrente
questo penso co’ la mente
troppo bene hai governato
troppe cose hai risanato.

Chi comanna l’ha capito
quindi er vertice hai tradito
si der popolo te curi
troppo tempo tu non duri.

Il grand’affare va concluso
e tu nun voi esser colluso
a più d’ uno questo scoccia
e pe’ questo che c’è Boccia

Ar posto de uno... de rispetto
molto mejo un chierichetto
uno moscio che obbedisce
se Dalema lo gradisce .


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CAMPAGNE D’ODIO
Grazzie ar voto elettorale
ce comanna n’animale
è ‘na bestia assai feroce
strilla sempre,e arza la voce

Quarche volta fa er gentile
ma nascosto ci ha er fucile

de sicuro unn’è sincero
il suo fine è un grande impero
Der potere è innamorato
che dar duce l’hanno clonato
manco ar dialogo è incline
e fara' la stessa fine !!!


Da domani nun lavoro
faccio come vonno loro :
si me sbrigo domattina
io commetto ‘na rapina
Co’ li soldi ricavati
compro droga a tanti strati

taglio e metto nella stagnola
e me metto infronte alla scola

Ai ragazzi poi la vendo
così er doppio io ce riprendo
si quarcuna nun ha er denaro
me la trombo e stamo a paro

Bella vita, ma che sballo
dar governo ci ho l’avallo !!!

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Più li ascorto e men capisco
e de lor frasi me stupisco,

Chi più arubba più è santo
cambiaT'è la morale per incanto

Oggi so’ li giudici i bastardi
ed è un brav’omo chi intasca miliardi

Colpa dei codici penali arretrati
che pe fortuna che avemo aggiornati

"Mazzetta e ricatto, se hanno successo,
son un gran segno de progresso!!!"

finarmente ponno strillà ad arta voce
senza er rischio d’esse messi in croce.

Der consiglio er presidente
è l’esempio piu'evidente:
E' caduto questo muro:
der più furbo ore'il futuro!

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Pe sto bel pellegrinaggio
chi ha pagato tutto er viaggio?

li ministri e i deputati
li biglietti li han pagati ?

Poi Cicchitto che se sbaglia
e cor nome che se imbroglia
sempre Silvio sulla bocca
pure quanno nun je tocca.

Sarà colpa del destino
si pe' scelta fa il lecchino

qual discorso lui va a prende....
sempre er capo va a difende'.

Co li fiji der cinghialone
tutti quanti in processione,

solo il prete c'e mancava ,
e bettino che parlava:

"Da dieci anni v'ho lasciato,
piagne tutto er parentato
or mi voglion fare santo
meglio allor che me la canto,
Io e Silvio siam parenti
con amici malviventi:
da Barabba discendiamo
è per questo che rubbiamo.
Si te metti a fà l'onesto
sempre voto resta er cesto...
Si t'ammazzi de lavoro
quanno mai te copri d'oro....

Si! c'è pure la coscienza
ma io so pure campa' senza
pe li soldi e pel potere
io la metto qui a tacere !


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Me dispiace a rompe er cazzo
ma nun tollero st'andazzo:
So' er fantasma de Bettino
mejo che parli de sto cretino:

Minzolini nun ce prende
co' l'analisi, m'offende
m'ha chiamato gran statista,
ma io facevo l'affarista
co' la scusa der partito
io me so' sempre arricchito
pe' na vita, ho intrallazzato
ho corrotto ed ho rubato,
e 'sto mezzo deficiente
dice che nun ho fatto niente.
Pe' me nun è bono a legge'
vale men de du' scoregge
forse er foglio gli han girato
ed ha male interpretato !
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Si gioisco pe' Giuliani
pure penso agli Aquilani
si l'avessero avvisati
molti più sarian sarvati:

Lui l'allarme aveva lanciato
solo che non fu ascortato,
Lo chiamarono stregone
oggi passa pe' cojone.

Quante mamme sto Natale
passeranno proprio male
co' la tavola imbandita
ma la testa tra le dita.

buttan l'occhi su una foto
ripensanno ar terremoto...

panettone senza sapore
tanto è amaro sto dolore

Si la rabbia poi ci accolli
du' bestemmie pure ammolli.

S' è bastarda la natura
più dell'omo hai d'ave' paura.

lo so è lungo 'sto sermone
ma ci serva da lezione !

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Troppa gente ha già parlato,
il dissenso va stroncato.

se 'sto virus si propaga
il consenso mi si sbraga.

Tutti zitti, tutti boni!
parla solo Berlusconi,

er Bugia nun ci ha vergogna:
ci ha pe' bocca 'na gran fogna.

Chi sul web vò fa er duro
da domani io l'oscuro,
mò Maroni ci ha er mandato:
il fascismo è ritornato !

giovedì 15 dicembre 2011


Giovedì 15 Dicembre 2011 11:57
L’Italia è un paese razzista
di ANNA CURCIO (Uninomade)

L’Italia è un paese razzista. È inutile girarci intorno. Non bastano le dichiarazioni di Napolitano sulla necessità di concedere la cittadinanza ai figli e alle figlie dei migranti nati in Italia per metterlo in discussione; né può farlo il ministero per l’integrazione che Monti si è affrettato ad istituire per addolcire, almeno a sinistra e nell’area cattolica, la pillola amara dei sacrifici e dell’austerity. Benvenuti nel deserto del reale, ieri a Firenze è andata in scena l’Italia. E Casseri, tutt’altro che pazzo depresso, è prima di tutto un italiano, nel senso che riflette pienamente l’identità razzista di questo paese. È tutta la storia del paese, la sua identità e la costruzione della sua narrazione ad essere intrisa di violenza razzista. Ed è una storia lunga che affonda le radici nella costruzione unitaria di cui stiamo festeggiando il centociquantesimo anniversario. Una storia fatta di linciaggi ed esecuzioni sommarie: prima i “meridionali” poi l’”altro” coloniale, gli ebrei, oggi i rom e i migranti internazionali. Una storia che ci parla di sopraffazione e sfruttamento, di marginalizzazione e violenza. Una violenza cieca, brutale ma ahimè assolutamente reale, che ho già visto andare in scena ormai troppe volte.





Quello che è successo a Firenze, non è un episodio isolato. Fa parte piuttosto di un sistema, una modalità reiterata di relazione con i tanti e le tante migranti che lavorano in questo paese. È la costruzione del mostro, del diverso al cuore della narrazione nazionale che evoca paure irrisolte. “Guarda, un negro; ho paura!” ha riassunto efficacemente Franz Fanon. È dunque con lo sguardo razzista che dobbiamo fare i conti, con quell’idea che la razza – che non è mai un attributo biologico ma è una categoria socialmente costruita per la marginalizzazione e subordinazione di alcuni gruppi sociali – è fatta di gerarchie: i bianchi sopra, i neri sotto, punto.

Il razzismo, andrebbe detto più spesso, non è un vizio ideologico o una patologia mentale, è un sistema capillare di subordinazione, dominio e sfruttamento costruito sul terreno della razza. Il problema allora non riguarda solo la retorica razzista e fascista della Lega Nord e di altre forze politiche, che costituisce senz’altro un’atroce aggravante e uno spazio di legittimazione, specie quando proferite dai banchi del parlamento. Il problema è più complesso e riguarda un preciso sistema di dominio e sfruttamento che alimenta atteggiamenti e comportamenti largamente diffusi.

Ha un sapore diffusamente razzista che ieri nei Tg, la notizia della strage di Firenze sia stata data tra le ultime e fanno rabbrividire i commenti che, per la gran parte, la hanno accompagnata. Mi ha indignato in modo particolare Enrico Mentana che al Tg delle venti su La7 ha parlato di un “safari”. Eppure Mentana aveva assunto una mimica triste, corrucciata. Era, a suo modo, addolorato da quello che era accaduto ma non per questo aveva potuto tenere a freno quell’equazione senegalese uguale animale che passa con l’idea del safari. No comment! O meglio, la cosa si commenta da sola. La questione, allora, è che, al di là del razzismo istituzionale, esiste un razzismo diffuso spesso anche tra chi si considera antirazzista, tra i tanti che premettono sempre “io non sono razzista ma …”. Tra chi si adopera in distinguo, individuando buoni e cattivi, i senegalesi sono lavoratori, i cinesi non pagano le tasse, i rumeni sono fascisti. Bah!

Il razzismo è subdolo. È annidato ovunque, dove meno te lo aspetti.
E fa da sfondo ad atteggiamenti e comportamenti profondamente violenti, proprio come qualche giorno fa a Torino, come ieri a Firenze, negli anni passati a Rosarno o a Castel Volturno, proprio come la violenza quotidiana che abbiamo visto in questi anni, che non sempre raggiunge la grande attenzione di stampa e tv ma che miete vittime, accuratamente selezionate in base al colore della pelle o all’appartenenza geografica.
Qualche mese fa a Civitavecchia un funzionario di polizia ha ucciso a fucilate il vicino senegalese perché non voleva vederlo nel giardino attiguo alla sua abitazione.
A Brescia un altro lavoratore originario dell’Africa Sub Sahariana è stato ucciso dal suo datore di lavoro che non voleva dargli gli stipendi arretrati.

C’è poi da dire che molti degli episodi di violenza razzista hanno come sfondo il mondo del lavoro.
E anche Casseri non ha colpito a caso le sue vittime. È andato a prenderle dove lavoravano.
Dei lavoratori tartassati da questa crisi, i migranti sono senza dubbio i più colpiti. I primi ad essere espulsi dal lavoro che si riduce, i primi a dover accettare ricatti, malversazioni e soprusi e ad adeguarsi alle condizioni inique del lavoro nero.
E, nel substrato razzista che fa da sfondo al nostro presente, sono i primi contro cui si scaglia la rabbia cieca di chi subisce la crisi e i programmi di austerity. D’altra parte, che siano soprattutto i migranti a pagare i costi della crisi e a raccogliere la rabbia sociale, va bene a tutti. Quando il razzismo gestisce l’organizzazione sociale e del lavoro è sempre possibile mantenere una classe di lavoratori razzializzati, ovvero marginalizzati e dequalificati, disposti a lavorare a qualunque condizione, con un chiaro vantaggio per imprese e datori di lavoro che, in tempo di crisi, sono più che mai alla ricerca di profitti.
Tra le tante cose dette sui fatti di Firenze, mi ha anche colpito chi si è stupito che un tale episodio capitasse proprio a Firenze, “la Firenze di La Pira” commentava con sorpresa il vice direttore del TG3 Giuliano Giubilei.
Certamente Firenze, nel 1962, sindaco Giorgio La Pira, aveva accolto Léopold Senghor, presidente del Senegal indipendente invitandolo a lanciare al mondo “il messaggio dell’Africa, madre dei continenti”, un messaggio dunque di resistenza e lotta anticoloniale.
Ma negli anni Sessanta, il razzismo italiano, impegnato contro gli operai meridionali nelle fabbriche del nord, non aveva ancora alcun interesse per i popoli dell’Africa, ancora sufficientemente lontani e distanti.
Solo negli anni Novanta l’atteggiamento mutò, quando le migrazioni internazionali divennero una realtà e Firenze si riscoprì razzista. Tutt’altro che pronta ad accogliere il messaggio dell’Africa lanciato da Sengor, fu tra le prime città italiane a dare il via alle violenze organizzate contro i lavoratori migranti.
Nel febbraio del 1991, i commercianti del centro storico, approfittando della folla in strada per il carnevale, organizzarono, mascherati, una vera e propria “caccia agli ambulanti”– prevalentemente giovani senegalesi – con pestaggi di gruppo e razzia delle mercanzie. Un episodio che indignò profondamente la “borghesia illuminata” fiorentina senza tuttavia che questa indignazione si traducesse mai in una reale elaborazione di quei fatti.
La reazione fu dunque vuota, inconsistente, come per altro vuote e inconsistenti appaiono oggi le parole di circostanza di Matteo Renzi e il peloso contributo per il rimpatrio delle salme delle vittime.
Più in generale, allora, la lunga storia del razzismo italiano ci pone anche di fronte alla sua mancata elaborazione. In Italia, il razzismo ha anche una storia di rimozione. E non è solo la rimozione della scomoda eredità del fascismo: dell’olocausto e delle violenze coloniali. È più precisamente la mancata elaborazione del razzismo sistemico che attraversa l’intera storia del paese. Perché il razzismo non è un effetto contingente, legato ad altri fenomeni sociali ma un profondo sistema di diseguaglianze che ha storicamente fratturato lo spazio nazionale, con pesanti implicazioni sull’organizzazione sociale e del lavoro.
Lottare contro il razzismo, allora, vuol dire fare i conti con questa storia e con queste implicazioni, vuol dire ripercorrere criticamente la storia del paese evidenziando il sistema di diseguaglianze e sfruttamento celati dietro al razzismo.
Solo con un lavoro critico di questo tipo, e solo mettendo in discussione tanti degli assunti che ritornano nei nostri discorsi e nel nostro immaginario sarà possibile provare a cambiare le cose, a rendere questo paese, almeno un po’, meno razzista. Detto altrimenti la lotta al razzismo non può essere mera solidarietà, per quanto sia sacrosanto esprimere solidarietà ai rom di Torino o ai senegalesi di Firenze. La lotta la razzismo deve essere un progetto radicale di cambiamento che investe la società nelle sue fondamenta e interessa tutte e tutti, bianchi e neri, migranti e non.
Nessuno può restarne escluso. È una lotta più complessiva contro lo sfruttamento e l’imbarbarimento della vita sociale e politica. Altrimenti, semplicemente, non è.
Pubblicato in ITALIAN CONNECTION
Etichettato sotto Anna Curcio uninomade italia Firenze antirazzismo razzismo

giovedì 1 settembre 2011


Caccia ai neri a Tripoli - di Stefano Liberti
.pubblicata da Bandiera Rossa il giorno giovedì 1 settembre 2011 alle ore 15.11.La caccia è iniziata dopo il tramonto. Una serie di camionette ha circondato la medina, la città vecchia di Tripoli. Ne sono scesi gruppi di ribelli armati e hanno arrestato centinaia di persone. Li hanno presi a gruppi di dieci-quindici, caricati sui veicoli e portati in una specie di base militare improvvisata vicina all'arco di Marco Aurelio, di fronte al lungomare. Li hanno chiusi lì, prima di trasferirli nella prigione di Jdeda, a est della capitale.

Tutti i fermati hanno una caratteristica comune: la pelle nera. L'accusa che viene loro mossa è gravissima: avere combattuto come mercenari al soldo di Gheddafi. «Ne abbiamo presi 200 solo ieri», sottolinea il capitano Salem Eisaleh, responsabile del comando militare dell'area. «Saranno interrogati. Verrà fatto un processo». Fuori dal comando stazionano diverse donne. Sono parenti degli arrestati: mogli, figlie, sorelle. Assicurano che i loro familiari non c'entrano niente con la guerra. Non hanno mai combattuto. Sono lavoratori. «Io sono libica. Vengo da Bengasi. Mi hanno arrestato due fratelli», grida Aziza, una ragazza nera col foulard e un largo sorriso.



«Ma quali libici? Gli arrestati sono tutti stranieri: ghanesi, ciadiani, maliani», le fa eco il capitano Eisaleh. Che, al di là della garanzia che gli imputati saranno sottoposti a un processo, fa ben capire come la pensa: «La maggior parte di loro sono colpevoli. Sono mercenari che combattevano ad Abu Salim (l'ultima roccaforte di Gheddafi a cadere in città ndr). Si sono travestiti da civili e si sono rifugiati nella medina. Ma li staneremo».

Le retate cominciate l'altra notte sono solo l'inizio di un'operazione che si prevede di più vasta portata. «Ci sono almeno altri 500 mercenari nella città vecchia», assicura il capitano. «Se dagli interrogatori degli arrestati emerge qualche elemento che ci permetterà di prenderli, andremo nelle loro case. Altrimenti ci vorrà l'intervento delle forze speciali».

La situazione in città per gli africani è a dir poco critica. Prima della guerra, la Libia contava una popolazione immigrata dall'Africa sub-sahariana di più di un milione di persone, impegnate soprattutto in quei lavori di fatica che i libici non facevano. Oggi molti sono fuggiti. Quelli rimasti sono guardati con estremo sospetto dai ribelli che hanno preso il controllo della città. Sono quasi automaticamente considerati ex mercenari dai combattenti, che oggi danno sfogo senza problemi a un razzismo neanche tanto velato. «Anche se alcuni hanno la nazionalità libica, non sono libici. Sono magari persone naturalizzate dal regime in passato.

Gheddafi voleva cancellare le radici della Libia. Noi siamo un popolo mediterraneo», sottolinea il capitano Eisaleh, facendo capire che non ci sarà grande spazio per gli africani nella Libia di domani. «Anche i cosiddetti libici del sud non sono libici. Stanno con Gheddafi, sono africani», aggiunge un combattente nel cortile, riferendosi alle popolazioni della zona sahariana del paese.



Il risultato è che oggi molti africani a Tripoli vivono nel terrore. Secondo l'organizzazione Medici senza frontiere (Msf) «una comunità di circa 1000 rifugiati e migranti vive all'interno e nei pressi di alcune imbarcazioni presenti in una base militare abbandonata a Tripoli, mentre un altro gruppo di 200 persone ha trovato rifugio in una fattoria da quando sono scoppiati i combattimenti nella zona sud di Tripoli». Molti gruppi più piccoli sono segnalati in giro per tutta la città: immigrati che rimangono chiusi in casa, senza uscire, per timore di essere arrestati o fatti oggetto di violenza.

Mebrahato Michael è uno di questi. Se ne sta barricato in quello che è una specie di rifugio a Shara Ashra, sobborgo alla periferia sud-ovest di Tripoli. Vive insieme a dodici compagni, tutti eritrei come lui. Stanno in questa abitazione di fortuna - due stanze che si aprono su una terrazza battuta dal sole - da quando sono arrivati nella capitale in provenienza da Sebha, la città sahariana ancora controllata dai lealisti, dove lavoravano da più di due anni. Lo stesso trasferimento dal sud è stato un'esperienza traumatica. «Durante il tragitto, due di noi sono stati colpiti da pallottole vaganti e sono morti», racconta Brhane Meldemariam, che ha perso il fratello nel tragitto.



Da due settimane, quando i superstiti del viaggio sono arrivati nella capitale allora in preda ai combattimenti, si sono stabiliti su questa terrazza, dove già viveva un loro amico. Passano le proprie giornate lì, aspettando la sera, senza poter far nulla. «Abbiamo paura di essere scambiati per soldati di Gheddafi. Temiamo per la nostra vita», racconta Mebrahato con il tono di voce rotto dalla preoccupazione. Fuggiti dalla guerra a Sebha, si ritrovano ora intrappolati in casa. Sono tagliati fuori dal mondo. Non sanno cosa succede fuori. «Sentiamo solo rumori di spari. Chi controlla la città?», chiedono tutti insieme. Non sanno nulla degli arresti che si stanno compiendo nella medina. Sanno solo che è meglio non uscire, meglio non avventurarsi in una città che non conoscono e che non sembra molto ospitale.

I tredici vivono della solidarietà di alcuni vicini del quartiere, che ogni tanto portano loro cibo, acqua, un po' d'olio. «Alcuni sono buoni, soprattutto adesso che c'è l'aid el fitr (la festa che segna la fine del ramadan ndr). Ma solo ieri sono venuti due uomini armati e ci hanno detto di non uscire, perché potrebbe essere pericoloso per noi», aggiunge Mebrahato.

Per i tredici eritrei è consigliabile seguire l'indicazione dei «due uomini armati». Nei prossimi giorni presumibilmente le retate continueranno ed è meglio non finirci in mezzo. «Agli africani che sono semplici lavoratori non verrà torto un capello. Saranno lasciati liberi di tornare nelle proprie case», assicura il capitano Eisaleh dal suo posto di comando. Ma una cosa è certa: di questi tempi a Tripoli è meglio non farsi vedere troppo in giro se hai la pelle un po' scura.
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domenica 14 agosto 2011

Lampedusa, duemila migranti in 24 ore

Egadi, si capovolge barca: 3 dispersi
Arrivi di clandestini anche in Sardegna



ROMA - Oltre 1600 persone in 24 ore: è il bilancio degli sbarchi a Lampedusa dalle 8 di ieri mattina alle 8 di oggi, mentre sono in arrivo altri due barconi con a bordo circa 350 migranti, che porta il totale a sfiorare le duemila unità.

Una barca di tre metri con sei migranti si è capovolta al largo di Marettimo nell'arcipelago delle Egadi. Tre migranti tunisini sono stati salvati dalla guardia costiera. Altri tre occupanti del piccolo natante sarebbero dispersi. Sono in corso le ricerche. A dare l'allarme è stato un diportista francese che ha raccontato di avere soccorso uno degli occupanti del gommone. Sono intervenuti un elicottero e quattro mezzi navali della guardia costiera. L'imbarcazione si è capovolta a poche miglia dalla costa. Il primo a essere salvato è stato un extracomunitario, soccorso da alcuni diportisti su una barca a vela francese. Poi sono stati soccorsi gli altri due. Sono tutti in ipotermia e si trovano nella guardia medica di Marettimo.

A Lampedusa, e a Pantelleria sono arrivati complessivamente 10 barconi, gli ultimi questa mattina presto. Tra i 1600 migranti, circa 200 sono tunisini, un centinaio donne ed una quarantina i bambini tra cui tre neonati. Poco dopo la mezzanotte sono giunti 199 migranti, tra cui 11 donne e 6 bambini, su un barcone recuperato a Sud di Lampedusa. Il natante era in avaria. Verso l'una di notte, invece, un motoscafo dei carabinieri ha agganciato un'altra imbarcazione con 223 persone tra cui 13 donne a 10 miglia a sud di Lampedusa. Inoltre sono stati soccorsi i 377 migranti su un natante che si trovava a 55 miglia a Sud di Lampedusa in acque di intervento maltese. Ieri erano giunti a Lampedusa 320 africani, mentre altri 12 erano stati soccorsi a sud di Pantelleria.

Durante la notte sono giunti nel sud-ovest della Sardegna due imbarcazioni con 48 clandestini (45 uomini, una donna e due bambini) che si sono dichiarati di nazionalità algerina. Una prima segnalazione dei carabinieri ha allertato la Capitaneria di Porto che ha inviato una motovedetta dal Comando di Sant'Antioco mentre per la seconda barca è intervenuto un altro mezzo della Guardia costiera coordinata da Cagliari con la collaborazione di una elicottero della Guardia di Finanza. Alle 2 è stata individuata la prima imbarcazione con 27 immigrati che sono stati soccorsi e assistiti. Tutti uomini, e in buone condizioni, sono stati fatti salire sulla motovedetta e trasportati nel porto di S.Antioco. Mentre poco dopo, al largo di Capo Teulada, è stata individuata l'altra barca con 21 persone fra cui la donna e i due bimbi. Anche loro sono stati portati a S.Antioco e successivamente nel Centro di accoglienza di Elmas. Per sette di loro, che hanno accusato un principio di disidratazione, sono stati disposti controlli medici e sono stati accompagnati nell'ospedale di Carbonia.

Domenica 14 Agosto 2011 - 12:55 Ultimo aggiornamento: 20:02
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martedì 2 agosto 2011

lunedì 20 giugno 2011

sabato 18 giugno 2011

Dichiarazione di Cécile Kyenge Kashetu, portavoce nazionale della Rete Primo Marzo che organizza lo sciopero degli stranieri, in merito al provvedimento del Governo Berlusconi, che estende la permanenza nei CIE dei migranti a 18 mesi.
“Ciò che sta succedendo in Italia sulle politiche dell’immigrazione è vergognoso e da condannare, in quanto lede fortemente i diritti fondamentali della persona. Di fronte al fallimento della politica migratoria del centrodestra, gli ultimi provvedimenti confermano le difficoltà del governo a individuare soluzioni per l’accoglienza dei migranti. Perseverano con l’approccio repressivo, nel tentativo disperato di riconquistare il proprio elettorato”.

“L’ultimo provvedimento del governo di trattenere i migranti nei CIE fino a 18 mesi, approvato prima dell’appuntamento della Lega Nord a Pontida, ci conferma che sono i migranti a pagare per i giochi di potere della destra. La vita dei migranti è diventata merce di scambio: si alimenta la guerra tra poveri, in un clima di crescente precarietà, invece di ristabilire le condizioni basilari di una vera convivenza civile”.

“I CIE, come tutte le strutture che ledono i diritti fondamentali della persona, andrebbero chiusi. Così hanno chiesto e chiedono milioni di cittadini da decine di stati, richiesta contenuta nella “Carta Mondiale dei Migranti”, elaborata a Gorée nel mese di febbraio 2011”.

“Sulla base delle situazioni vissute dai migranti nel mondo, la nostra ambizione è di far valere il diritto per tutti di circolare e stabilire liberamente la propria residenza sul nostro pianeta e contribuire a costruire un mondo senza muri”.

“Sulla base di principi contenuti appunto nella “Carta Mondiale dei Migranti”, sosteniamo le iniziative sul territorio che promuovono i nuovi diritti, nell’ottica di costruire un’ampia alleanza tra migranti e autoctoni, e denunciando ogni forma di discriminazione e in particolar modo il razzismo istituzionalizzato (come tutti gli ultimi provvedimenti del governo che rendono ricattabili i migranti, indebolendo la cittadinanza di tutti e tutte)”.

Il Pasquino:" Fatelo e basta !"

Un tamburo in mano al rom.
Danze tribali in piazza.
Nuovi scenari, vecchio sfondo.
Perché tanta paura del diverso?
Non c'è mai amore sprecato.
C'è solo decadimento morale.
Implosione di civilta'. Non ci sarà un'altra arca diNoè. Ci dobbiamo salvare, nessuno escluso. Noi e i diversamente noi. Si vive meglio in un giardino o in una serra?
Perchè mai dovremmo essere tutti uguali?
L'artigiano non si attiene alle istruzioni. E' la materia sulla quale lavora che decide. Determina i suoi movimenti, quindi la forma.
A volte è nera, a volte bianca, a volte chissà. Il risultato è sempre un'opera d'arte. Nietzsche disse di cercare l'eternità in ogni cosa. Perchè limitarsi ad un solo Dio? Picasso scompose la "Bottiglia di Pernod", per farcela vedere da più prospettive. Chopin disse che il "Do" era giallo.
Non è bastato congelare i ghetti. L'Antisemitismo alberga nelle anime. Nella giustizia "fai da te" dei telegiornali.
Nell'approssimazione delle razze.
Cicerone disse che il solo pronunciare la parola "Pace", accarezzasse l'udito. Provate a farlo, e capirete quanto sia vero.
Non importa in che lingua lo farete.
Non importa quale Dio vi ascolterà. Fatelo e basta.
[Ettore Ferrini]...